volontariato internazionale
Mio figlio vuole partire!
Sono papà di due ragazzi, uno di diciotto anni e una di quindici.
Mio figlio maggiore frequenta l'oratorio, dove ha conosciuto attraverso una testimonianza alcuni giovani impegnati in una ONG che lavora in molti paesi, per lo più in Sud America e nell'area balcanica.
Affascinato da queste testimonianze, mi ha chiesto di poter fare un'esperienza di volontariato all'estero con questa organizzazione, durante le vacanze estive. Mi chiedo se non sia un po' troppo presto, e se abbia senso partire a 18 anni senza quasi aver visto nulla al di fuori del proprio contesto quotidiano.
Che cosa ne pensate?
Grazie
Paolo
Caro Paolo,
anche nell'equipe de Lo Spiazzo ci sono dei genitori, che ben comprendono i tuoi dubbi: i nostri ragazzi crescono fin troppo in fretta e ad un certo punto fanno scelte "da grandi" e siamo portati a domandarci se siano "grandi" davvero.
Ci sentiamo quindi di condividere con te qualche riflessione.
La prima è che crediamo tu debba essere orgoglioso della scelta di tuo figlio: l'essersi fatto affascinare (e magari non è solo fascino, ma una reale empatia verso questo atteggiamento di vita!) dalle testimonianze dei volontari denota un impegno nei confronti della vita e della società, in particolare nei confronti dei più deboli, che – indipendentemente da quali saranno le sue scelte attuali e future – fanno pensare che tuo figlio non sarà mai "indifferente". E non è cosa da poco.
La seconda è che partire non è così difficile: il più è proprio decidere di farlo! Citiamo le parole di una nostra collaboratrice, impegnata in una ONG: «Ricordo che anni fa, prima del mio "primo viaggio", parlando con un amico del mio sogno nel cassetto lui mi disse "ma tu in realtà sei già partita, il tuo cuore è già là". Aveva ragione, e l'aereo che mi ha portato da un continente all'altro è stato solo un mezzo per trovare ciò che era già dentro di me».
Magari è così anche per tuo figlio; o magari no.
Il nostro suggerimento è di lasciar posare un po' di polvere.
Di non dimostrarti contrario, ma nemmeno di essere tu a organizzare le cose per lui. È una cosa che, se la vuole davvero, tornerà prepotentemente in lui, si attiverà per organizzarsi e ... se è una parte importante della sua vita non ti resterà altro che osservarlo partire.
Un terzo pensiero è che molto spesso abbiamo un'idea un po' stereotipata di paesi lontani, spesso di luoghi molto più diversi (e forse pensiamo anche più pericolosi) di quanto non lo siano veramente.
Certo, è giusto partire preparati, conoscendo il contesto sociale e culturale in cui ci si troverà, ma spesso la vita reale in loco molto è più facile e normale di quanto ce la immaginiamo noi.
È l'idea del diverso che un po' ci spaventa, ma è proprio il diverso che ci mette a confronto con noi stessi e con gli altri e ci fa crescere.
E veniamo all'ultima riflessione, prendendo a prestito la tua espressione "contesto quotidiano".
Ci piace pensare che tuo figlio, diciottenne, curioso, alla ricerca di se stesso e del mondo, ancora non abbia un contesto quotidiano definito e che, anzi, sia proprio quello che sta cercando. A volte ci poniamo dei confini, dei limiti, vuoi per abitudine, vuoi perché cerchiamo sicurezze, vuoi perché non sappiamo guardare oltre.
Tuo figlio ha sentito la spinta a guardare oltre: con la debita preparazione, con le giuste precauzioni, il nostro suggerimento è... lascialo partire. Qualunque sia l'esperienza che vivrà sarà un tassello importante nella sua crescita (e, se possiamo fare una previsione, tieni le valigie pronte anche tu!).
Un abbraccio ad entrambi.
Lo staff de Lo Spiazzo*
*Un ringraziamento particolare a Deborah Busso (volontaria con I.O.P. in Tanzania), che ha contribuito a questa risposta condividendo la sua esperienza personale di genitore e di cooperatrice internazionale.