Quando l’altro sono io
Quando si è compresi significa essere accettati. Anche se poi non tutti condivideranno le modalità con cui è espresso un messaggio.
Ciao, sono un ragazzo maghrebino. Vivo in Italia da quando ero piccolo e vi scrivo per rivolgervi una domanda: “Come mi comporto quando l’altro sono io?”. Io non frequento l’oratorio e ho una tradizione non solo culturale, ma anche spirituale diversa dalla vostra. La mia domanda può valere anche per molti, che sono in minoranza, anche italiani (ad esempio i protestanti), ma che si sentono comunque diversi.
Asad
Risposta allo Spiazzo
Grazie per la tua importante domanda, perché il problema dell’“essere straniero” può aiutare noi a riflettere anche sul problema del “sentirsi a casa”. Di fatto, sono due facce di una stessa medaglia, che può essere rappresentata dalla domanda “Ma io chi sono?”. Essere straniero (di nazionalità o di cultura differenti) ed essere a casa (italiano) sono due condizioni in cui il nostro essere è chiamato ad esprimersi.
Anche noi italiani, quando andiamo a fare un viaggio, facciamo i conti con l’“essere straniero/l’altro” e la tua domanda ritorna con tutte le sue implicazioni: chi sono, come mi devo comportare, cosa devo dire in questa occasione… Già solo i nostri comportamenti parlano e, a seconda della cultura, possono essere interpretati in un modo o nell’altro, quindi c’è il rischio di essere fraintesi e, soprattutto di non integrarsi bene.
Paura di sbagliare e comunicazione
Già questo discorso può dirti una cosa: proprio perché il rischio c’è sempre, tu non aver paura di tirar fuori quello che sei e quello che senti, al massimo sbagli ma non è niente di irrecuperabile. Sì perché solo se consapevoli del rischio, riusciamo innanzitutto ad accettarlo e quindi, successivamente, a rielaborare il nostro errore e cambiare i nostri atteggiamenti. E questo non significa conformarsi, questo mai! Significa renderci comprensibili agli altri, saper comunicare, che equivale di fatto all’”essere accettati”. “Comunicare” significa “entrare in relazione” e, quindi, riuscire a entrare nella realtà relazionale esistente. E questa è una porta importante per costruire amicizie.
Questo vale anche per noi italiani: di quanta educazione nella relazione abbiamo bisogno! Noi, infatti, abbiamo l’altra faccia del problema: il “sentirci a casa”. Intuitivamente diremmo: “Beh se uno si sente a casa sta bene”, ma paradossalmente non è così. Il rischio di sentirci a casa è quello di dare per scontate molte cose, addirittura i comportamenti stessi, per cui pretendiamo che gli altri ci capiscano senza che noi facciamo lo sforzo di farci capire dagli altri. E questo non è solo un discorso di contenuti o del sapersi esprimere bene (anche molti italiani non sanno parlare bene in italiano), è un discorso culturale, di comportamento, di attenzione all’altro. Quando siamo a casa nostra stiamo comodi e, quindi, non abbiamo voglia di far fatica… ma questo è dannoso perché è proprio dal “dare per scontato” certe cose che nascono le incomprensioni, i pettegolezzi, il non-detto che rimane dentro di noi e che esplode tutto in una volta… e questo non permette neanche a noi di costruire relazioni stabili, concrete e vere.
La paura di essere nessuno e la nostra ricchezza
La seconda paura che può sorgere dall’“essere l’altro” è il considerarsi di poco valore, quasi nulla. Questo può sorgere dal fatto che non conoscendo la cultura cui ci si approccia è più difficile condividere con gli altri pensieri o esperienze comuni. Ma la possibilità di arricchirci grazie agli altri deriva proprio dall’incontro culturale. Infatti, pur non avendo gli stessi punti di partenza (la stessa condizione culturale, linguistica, ecc…) ognuno ha una sua partenza, che è la propria storia. La nostra storia è sempre una ricchezza cui fare riferimento.
E questo vale anche per chi è a casa. Anche noi siamo chiamati ad esprimerci per quello che siamo, ma molto spesso ci esprimiamo per quello che gli altri vogliono vedere, omologandoci a schemi e modi di relazionarci convenzionali, e non sempre veritieri, che permettono davvero di entrare in comunione con l’altro. Spesso usiamo mettere delle etichette alle altre persone, presupponendo di conoscerle già e invece non è così… Ogni volta la persona davanti a noi, anche se già sappiamo chi è e che cosa fa, ha sempre qualcosa in più da dirci, qualcosa da darci. L’invito di Papa Francesco è proprio questo: “Mettiamoci in condizione di capire che l’altro ha sempre qualcosa in più da dirci”.
La strada
Si può constatare, quindi, che il problema dell’altro coinvolge tutti e non solo chi è l’altro nel senso di straniero. Tutti siamo stranieri di fronte ad uno sconosciuto. E la strada è sempre quella dell’ascolto, dell’accettazione e della condivisione. La strada da evitare è quella della paura sia per chi è straniero, sia per chi sta in casa.
Lo staff de Lo spiazzo